Campionato 1990-91: in gennaio mure il presidentissimo Viola

Fine di un'era

Un male incurabile si porta via l'artefice del secondo scudetto. Che poco prima in una conferenza stampa aveva dichiarato le sue verità sugli ultimi misteri giallorossi. La Roma é nona, vince la Coppa Italia e intanto si fa avanti Ciarrapico

Dino Viola aveva sempre alimentato il rapporto con i giornalisti. E d'altra parte, un personaggio come lui, senza palcoscenico si sarebbe inaridito. Amava l'esercizio dialettico, aveva un ininterrotto bisogno di un interlocutore da sfidare e da battere, aveva bisogno di mettersi sempre alla prova: e la prova riusciva se lui finiva con l'avere ragione. Il «violese» che molti hanno deriso, conteneva invece tutte le sottigliezze, i trabocchetti, le insidie dei suoi sofisticati ragionamenti. Bisognava decodificarlo, cogliendone i sottintesi: chi non ci riusciva, poteva considerarsi perduto. Ad un certo punto, Viola tacque: fu dopo il chiasso suscitato dal doping di Peruzzi e Carnevale e dalla loro squalifica. Fu il peso di un'altra sconfitta. Ormai Viola perdeva spesso, e su tutti i fronti. Era la conseguenza del progressivo esaurimento della potenza economica della Roma, e anche della sua inconscia stanchezza. Risultava evidente ormai che il presidente aveva poche armi a disposizione e cercava di aggirare gli ostacoli. Non sempre era possibile, anche per uno come lui, temuto specialista d'assalto nel campo dei regolamenti. Il caso Peruzzi-Carnevale lo aveva messo con le spalle al muro. Cosìtriste, solitario e muto, il presidente sembrava un personaggio di Gabriel Garcia Marquez. Viola parlò d'improvviso, erano i primi giorni di un dicembre freddissimo. Lo fece a Trigoria, e i giornalisti credettero di essere caduti prigionieri in un fortino nemico. Viola andava e veniva, parlava e smetteva, ricominciava. Li tenne lì sette ore: più cinque minuti. Fu un lungo percorso a ritroso, una ricapitolazione generale della sua avventura di presidente della Roma. La conclusione fu agghiacciante: «E ricordatevi che se muoio io, muore anche la Roma». Dino sapeva di essere malato? No, non lo sapeva: ma tutti i suoi atteggiamenti da questo momento e fmo a quel tragico 18 gennaio, avranno un inquietante senso di premonizione.

Il "grande vecchio"

Ricordate il caso Dundee? Quando Viola fu costretto ad ammettere di aver pagato i cen'" to milioni a Spartaco Landini, disse che lo aveva fatto per scoprire chi era il grande corruttore del calcio italiano: voleva coglierlo con le mani nel sacco. Fece queste confidenze atl'arbitro Bergamo -quello famoso del gol di Turone- e Bergamo parlò. Quella lunga sera di dicembre a Trigoria, quando riacquistò la parola, Viola disse di avere perseguito questo intento durante tutto il suo impegno di presidente: il grande corruttore esisteva, lui aveva invano tentato di smascherarlo. Così Viola spiegò i suoi errori, le sue contraddizioni, le sue evidenti responsabilità in qualche circostanza.
- Caso Vautrot. «La verità? In quel momento bisognava distruggermi, dovevano bloccare Viola candidato ad una certa investitura». Viola infatti mirava alla presidenza federale: il Palazzo tremava.
- La storia delI'evasione fiscale, quando per Viola fu chiesto il rinvio a giudizio per un' omessa dichiarazione ai fini Irpeg, relativa all'anno 1983, di parte dei redditi della società, e cioè di 5.683.550.000. «E'una storia che fini presto in una bolla di sapone. Però ci fu un retroscena significativo. Eravamo in trattative per l'acquisto di Hassler, pregai la moglie di Voeller di contattare la signora Hassler per accertare la sua disponibilità al trasferimento e la signora Hassler disse cose incredibili: che Roma era sporca, pericolosa, e che la Roma non aveva una lira. Perciò non sarebbero venuti, e infatti quelIa volta l'ingaggio sfumò. Chi mise in giro quelIe chiacchiere?» .
-Il doping di Peruzzi e Carnevale. «E'stata una settimana drammatica, che rivelò l'intervento delIa stessa mano sabotatrice. Certa stampa già invocava una punizione esemplare, mentre io ancora cercavo di capire cosa fosse successo. Avevo saputo tutto nelIa trasferta di Lisbona, dal segretario federale Petrucci. Nel viaggio di ritorno ebbi la tentazione di buttare giù dalI'aereo Carnevale e Peruzzi. Ma se adesso dico che i due ragazzi erano in buonafede, dico la verità».
-lI futuro della Roma. «Passare dagli 80.000 dell'Olimpico ai 16.000 del Flaminio, poteva segnare il fallimento. Siamo ancora in attesa di avere il risarcimento di un danno enorme. Vorrei tornare nella situazione di bilancio del 1986, prima che succedessero tanti guai: credo che sia un mio diritto. Ma un conto è avere i soldi il prossimo luglio e un altro è averi i adesso, prima di Natale. Forse non me li daranno proprio per questo? Ma attenzione: se muore Viola muore anche anche la Roma».
Questa era la situazione, in una specie di testamento sportivo, quando Viola partì per Cortina, per le vacanze natalizie. I soldi naturalmente non erano arrivati.

La tragica verità

AlIa vigilia di Natale, il collega Alessandro Vocalelli intervistò Giuseppe Ciarrapico, un imprenditore che aveva un posto di grande rilievo alIa corte di Giulio Andreotti. E per la prima volta si parlò, in forma ufficiale, di cessione della Roma. Ciarrapico dichiarò: «Viola mi ha detto di essere pronto a cedere: chiudiamo in fretta, il mercato comincia a febbraio. lo lotto sempre per arrivare primo: non sono disposto ad aspettare troppo per un altro scudetto. Cercherei di portare via Matthaus a1l'lnter. Come d.s. rimarrebbe Mascetti, e con lui Perinetti. Berlusconi non mi fa paura: risponderei con 70.000 abbonamenti. La Juve? saremo noi a soffi arie gli assi. Non sono disposto ad accettare una co-gestione. A Viola offrirò la presidenza onoraria». Vocalelli cercò Viola a Cortina.
«Se il suo piano mi convincerà, non parlerò di cifre. Mi vuole presidente onorario? No, non ho ancora l'età. Chiusa la causa, Falcao sarà mio ospite, gli ho sempre voluto bene. Sono stato in montagna stamane: mi sembrava davvero di toccare il cielo». Pochi giorni dopo, venerdì 28 dicembre, Dino Viola accusava un grave malore e veniva operato d'urgenza a1l' ospedale di Pieve di Cadore. Occlusione intestinale, dissero i medici. Viola fu dichiarato fuori pericolo, Il 9 gennaio, da Pieve di Cadore dove era ancora ricoverato, Dino Viola annunciò: «La Roma va ai miei figli. Ieri è arrivata la candidatura che tanto
aspettavo e tanto volevo, la mia famiglia è pronta a prendere il comando della società».
Il 18 gennaio, giovedì, fu convocata l'assemblea dei soci della Roma, per la nomina di un reggente nella persona di Riccardo Viola. Il presidente intanto, tornato a Roma dopo la degenza post-operatoria, era stato ricoverato di nuovo: per normali controlli, dissero. «Datemi il tempo di rimettermi, aveva dichiarato, poi tornerò alla guida della Roma più saldo che mai». Era una situazione di una fragilità paralizzante. Di sicuro, c'era solo che la famiglia Viola giudicava tramontata l'ipotesi di vendita della società, e quindi le trattative con Ciarrapico non avevano preso alcuna sostanza. Venerdì 18 gennaio Viola riceveva in clinica il presidente federale Matarrese, poi il segretario Gianni Petrucci, con il quale c'erano stati duri scontri nei giorni dello scandalo del doping. Petrucci lasciava la clinica piangendo: e il suo dolore era un drammatico messaggio di verità. Il giorno successivo, sabato 19 gennaio, arrivava la temuta notizia: Dino Viola era morto. Sui giornali, uno dei titoli più belli, fu: «E'morto Viola, l'ingegner Roma».

Il polso fermo di Bianchi

Fu preziosa, in quella situazione di dolore e di smarrimento, la presenza di un allenatore come Ottavi o Bianchi, cioè di un uomo dal carattere solido che non permetteva agli avvenimenti esterni di prendere il sopravvento. La morte di Viola, certo, non era un avvenimento esterno: colpiva direttamente tutti i romanisti, dal più titolato dei giocatori al più anonimo dei tifosi. Ma le situazioni che ne scaturirono erano così complesse, torbide, inquietanti, da minacciare uno sconquasso generale. La famiglia Viola, così come aveva annunciato Dino, assunse il controllo della società, ma cominciò l'assalto dei pretendenti, non tutti accompagnati dal necessario rispetto per i personaggi implicati nella vicenda e per la società stessa. Non furono giorni facili. Ottavio Bianchi, dunque, assunta la guida tecnica della Roma, si era subito trovato nel tunnel di una crisi senza fine:lo scandalo del doping, la squalifica di Peruzzi e Carnevale, la malattia di Viola, la sua morte, il precario governo della società. Mantenersi ad alto livello, in queste condizioni, non era facile, eppure i risultati ottenuti nell'arco dell'intera stagione furono ottimi. In campionato la Roma ottenne solo un nono posto, ma tornò a vincere la Coppa Italia e sfiorò il successo europeo in Coppa Vefa, arrivando a disputare la finale tutta italiana: l'avversaria della Roma fu infatti l'Inter. Furono entrambi tornei splendidi. In Coppa Italia la Roma eliminò nei «quarti» la Juventus, andando a vincere a Torino con un perentorio 2-0. Poi in semifinale superò il superbo Milan che lottava per lo scudetto: curioso fu l'autogol di Van Basten, nella gara di ritorno. La finale fu disputata contro la Sampdoria, messa a tacere con un netto 3-1 all'Olimpico e poi fermata sull'I-I nel ritorno. In Coppa Vefa la Roma collezionò successi di grande prestigio, eliminando il Benfica (vittoria anche a Lisbona), il Valencia, il Bordeaux (clamoroso 5-0 all'Olimpico e netto 2-0 a Bordeaux), poi l'Anderlecht, altra vedetta del calcio europeo: anche stavolta la Roma ottenne un significativo successo esterno. Forse si può dire che mai la Roma, in campo internazionale, aveva avuto un cammino così perentorio e aveva fatto tante vittime illustri. In semifinale fu invece il Brondby a impegnare severamente la Roma. La finale contro l'lnter registrò un successo per parte, quindi un perfetto equilibrio: però l'Inter aveva segnato un gol in più.

Roma senza pace

Dopo la morte di Dino Viola, il più grande dei suoi presidenti e forse il più abile dirigente che il calcio romano abbia mai espresso, la Roma avrebbe meritato un po' di pace, una tregua, il tempo per rimettere in ordine i pensieri e i sentimenti. E non ebbe tempo e non ebbe pace. Dal punto di vista agonistico, quella stagione fu attraversata dalla vicenda di Peruzzi e Carnevale, ma il problema vero, che squassava gli animi dei romanisti e richiamava l'attenzione di tutto il calcio italiano, era quello della difficile suecessione a Viola. Il 5 febbraio'91, Luigi Ferraiolo sul Corriere dello Sport, dava il quadro della situazione. «La Roma ha più o meno un deficit di 25 miliardi, tra esposizioni bancarie, mutui per Trigoria e debiti in Lega. Nei prossimi giorni riceverà finalmente, a titolo di indennizzo per il Mondiale, circa 8 miliardi che si aggiungono ai due già anticipati dalla Federcalcio. Ma bisogna mettere in conto anche le spese di gestione fino a giugno. quasi due miliardi al mese, per cui quelli dell'indennizzo non andranno a ridurre il deficit. In questa situazione, la Roma avrebbe seri problemi di gestione per la prossima stagione, e sarebbe già un'impresa ottenere l'iscrizione al campionato. Nei giorni scorsi la famiglia Viola è stata ricevuta da Andreotti, che resta il primo tifoso della Roma, e che ha tranquillizzato i Viola: se venderanno, potranno farlo in serenità, senza dover cedere a pressioni. Peròanche ieri nel corso di un'altra riunione di famiglia, sembra che non sia assolutamente emersa unità di intenth). A chi sarebbe andata dunque la Roma? La situazione veniva riassunta così: 45 % delle probabilità a Gaucci, l'unico che aveva fatto offerte concrete, 40% alla famiglia Viola, 10% a Ciarrapico, 5% ad altri. Avrebbe vinto Ciarrapico, e sarebbero venuti altri guai.

Tratto da La mia Roma del Corriere dello Sport

 

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